da political-prisoners.net
Il 20 gennaio 2017 decine di migliaia di persone hanno risposto con grandi proteste all’insediamento di Donald Trump, dai creativi blocchi stradali alle azioni di piazza militanti. A una di queste manifestazioni quel giorno ha aderito un blocco anticapitalista e antifascista dietro striscioni come “Nessun mandato pacifico” e “Potere ai/alle razzisti/e, nuova paura”. Rispondendo alla protesta la polizia ha attaccato violentemente e chiuso in una trappola circa 230 persone. Sono state arrestate per presunta esecuzione di danni materiali o per essersi dimostrate nei fatti solidali con chi portava avanti gli scontri.
Dopo una serie di rinvii a giudizio e manovre legali infine si sono accusate 200 persone, ciascuna per sei differenti reati (cinque capi d’imputazione per distruzione della proprietà privata e incitamento alla rivolta) e due infrazioni (partecipazione e cospirazione per la rivolta). Ciò significa che ognuna di queste persone è minacciata di 61 anni di prigione.
Questo caso emblematico è significativo, essendo un tentativo del governo degli Stati Uniti di colpire le proteste nate spontaneamente in risposta all’insediamento di Trump. Queste accuse intendono soffocare la protesta attiva per trasmettere il messaggio che la resistenza non è tollerata. Questo avviene in un periodo in cui questa resistenza occorre più che mai. Sotto molti aspetti è un’occasione per sperimentare un ampliamento del potere repressivo dello Stato. Accade con accusatori/trici che tentano di condannare ogni singola persona solo in base alla sua presenza, per un paio di vetri rotti. Inoltre, polizia e altri componenti dello Stato cercano di ridefinire l’organizzazione politica fondamentale. Tenere riunioni di gruppo per esporre il programma delle proteste è considerato atto di cospirazione. Ciò fa parte di una tendenza continua (sia a livello nazionale che internazionale) della repressione crescente contro movimenti sociali nei cosiddetti Stati “democratici”. Se gli Stati Uniti dovessero riuscire a perseguire in questo modo i movimenti sociali, probabilmente incoraggerebbero altri governi a fare altrettanto.
Dato che il governo Trump quasi quotidianamente contribuisce a portare il mondo sull’orlo del baratro, è importante sostenere quelli che rischiano la propria libertà resistendogli sin dal primo giorno. Le proteste del giorno dell’insediamento hanno richiamato l’attenzione su molto di ciò che succederà ancora e hanno confermato che il governo Trump e i suoi alleati d’estrema destra troveranno resistenza. Successivamente, altre persone hanno compiuto azioni dirette in tutto il Paese per paralizzare ogni aeroporto internazionale nel Paese con una protesta storica che potesse frenare la politica islamofoba e contro gli immigrati attuata dal nuovo governo. La maggioranza degli accusati prosegue questa battaglia nelle aule di tribunale. Lavorano insieme per rispondere politicamente a queste accuse e utilizzano questo caso come modo per costruire legami fra luoghi e lotte differenti.
Questo è un appello per una Giornata di solidarietà internazionale indetta per il 20 gennaio 2018. In un momento in cui gli accusati sono sottoposti a forte repressione, le azioni solidali in tutto il mondo li hanno commossi. Queste azioni fanno parte anche di una prassi politica che riconosce che conduciamo una lotta comune che supera le frontiere. Chiediamo la solidarietà non come atto di compassione, ma come gesto di complicità collettiva sforzandoci di contrapporre resistenza al governo Trump e al futuro che vuole imporre.