Grecia, 17 luglio 2016. La mattina del 27 febbraio tre membri del centro sociale Vox a Exarchia sentono tre individui lanciare insulti sessisti a una passante. Intervengono, ma i tre individui estraggono i coltelli e due compagni anarchici vengono gravemente feriti. Uno degli aggressori, ben noto nel quartiere, è uno spacciatore d’origine egiziana soprannominato “Habibi” che lavora per la mafia albanese. È responsabile di numerose aggressioni in quartiere.
Il 5 marzo, 5.000 anarchici sfilano contro le mafie, alcuni di loro portano a scopo dimostrativo armi da fuoco. Sono anni che la polizia si serve di spacciatori per deteriorare la situazione a Exarchia, per impedire che si articolino le numerose iniziative anarchiche autogestite che caratterizzano il quartiere. Respingendo sistematicamente gli spacciatori di Atene verso Exarchia e lasciando mano libera alla mafia della droga, la polizia manovra per rendere impossibile l’autorganizzazione della vita in quartiere ai suoi abitanti.
Il 7 giugno, “Habibi” è stato ucciso all’ingresso di un immobile, a 100 metri da piazza Exarchia. Solo ai primi di luglio una milizia anarchica ha rivendicato questa esecuzione.
da actforfreedom: 14 luglio 2016
Assumiamo la responsabilità dell’esecuzione del mafioso Habibi, che per anni è stato protagonista di episodi di violenza contro abitanti e frequentatori nella zona di Exarhia, culminati infine con l’aggressione il mese scorso a tre compagni del centro sociale occupato VOX.
Il carattere paranoico di questo specifico individuo e la violenza feroce che imponeva alla minima provocazione, lo ha reso un potenziale serial killer, portano la paura e il terrore in zona. Bullismo, furto e accoltellamenti, inclusi nel repertorio della sua presenza quotidiana in piazza Exarhia, gli ha dato spazio per fingere di essere il leader che (presumibilmente) nessuno poteva contestare. Rafforzato e contornato da un’accozzaglia di individui spietati, ma anche appoggiato da mafia e polizia, ha agito indisturbato vendendo droga e terrorizzando il quartiere che era indifeso e incapace di affrontarlo, soggiogato al suo potere e ridotto al silenzio.
La paura causata dalla sua attività criminale lo ha reso sempre più audace, spingendolo a compiere ripetutamente aggressioni con intenzioni omicide alla presenza di decine di abitanti, lasciandosi dietro una scia di sangue e di persone mezze morte, mentre era in zona indisturbato e arrogante. E questo perché, pur essendo un tossicodipendente e un paranoico, ben sapeva che non avrebbe subito conseguenze. Sapeva che nessuno sarebbe intervenuto per la sottomissione che imponeva con la paura. Perché sapeva che non sarebbe stato arrestato, essendo un assoldato alla mafia ed essenzialmente anche un reclutato dalla polizia.
Tuttavia, la sua audacia ha dimostrato infine di essere “suicida”, quando ha fatto l’errore di attaccare tre compagni anarchici del centro sociale VOX, ferendone due. La goccia ha fatto traboccare il vaso e l’attuazione della giustizia popolare rivoluzionaria ha richiesto la sua condanna a morte. Non solo come vendetta per il ferimento dei compagni, ma anche a difesa di un quartiere così angosciato che siamo sicuri, all’apprendere l’esecuzione di questo pezzo di merda, si sentirà sollevato. Perché qualcuno doveva intervenire. Anche per ripristinare marginalmente i rapporti di forza a Exarhia, per ricordare che il lungo braccio del para-Stato deve fare i conti con il braccio punitivo del movimento.
Parlando di para-Stato dobbiamo chiarire che per noi l’esecuzione di questo specifico individuo non si limita ad essere un colpo alla “crudeltà” dominante a Exarhia. Non percepiamo la violenza “feroce” come fenomeno sociale generalizzato. Non siamo sociologi, ma interni alla classe in guerra contro il capitale e come tale entriamo in lotta per riconquistare Exarhia. Con tale orientamento, questa specifica esecuzione si estende anche al conflitto fisico con la masnada parastatale di mafia-polizia. Cioè, si estende alla lotta contro una delle espressioni più dure del capitale. Questo perché Habibi era reclutato dalla mafia di Exarhia, non solo come uno delle decine di spacciatori che operano in zona, ma anche come gendarme che violentemente proteggeva il regolare profitto dei suoi capi.
I vari antefatti di Habibi comprendenti ogni tipo di attività antisociale lo avevano reso lo scagnozzo, il cane da guardia feroce della mafia in piazza Exarhia. Ed era il cane da guardia perché la sua violenza, a prescindere dall’essere psicotico e imprudente, funziona come minaccia per chiunque anche immaginasse d’interrompere il regolare spaccio della droga. Infine, contro chiunque contestasse il regno della mafia in piazza Exarhia.
Uccidendo Habibi, abbiamo chiarito che concretamente contestiamo il regno degli spacciatori. Che pure noi disponiamo di mezzi per affrontarli e che, se occorre, ci impegneremo in uno scontro diretto con loro. Scontro, storicamente e politicamente imperativo. La masnada di mafia e polizia, sebbene si tratti di un fenomeno spesso appurato che non sorprende nessuno, a Exarhia è espressa in termini palesi. Chi vive, lavora o frequenta la zona, sa molto bene che i luoghi di spaccio non sono in angoli remoti, invece occupano punti principali intorno a piazza Exarhia. Sanno anche chi vende la droga e quando, dato che ne parliamo quasi 24 ore con abitanti e frequentatori di Exarhia. Sanno quali negozi agiscono come fronti per il riciclaggio di denaro, chi sono i capi della mafia e dove circolano visibilmente armati. Sanno pure che il comandante della stazione di polizia di Exarhia s’incontra con alcuni di questi in un’atmosfera di particolare amicizia. Tutto ciò avviene davanti ai nostri occhi ogni giorno e nessuno dice niente. Nessuno lo fa per paura o perché domina l’indifferenza. E ancora peggio, perché anche fra le forze sane del quartiere prevale che niente muti, domina l’inutilità del cambiamento. In realtà, il rizoma della rete di sicari, “anarchici”, bulli, spacciatori e polizia è così profondo che occorre un terremoto per sradicarlo. Questo terremoto è il nostro obiettivo e per portarlo a compimento dobbiamo chiaramente dividere i campi sin dall’inizio. Chi siamo e chi è contro di noi. In tal modo possiamo essere all’altezza e così far cessare la tolleranza, i rapporti e l’equilibrio fra i due fronti. Non siamo tutti un quartiere e non c’è spazio per tutti noi in questo quartiere. Sarebbe tragicomico che la polizia sostenesse l’ignoranza della gente e le situazioni e, ancor peggio, l’impossibilità d’intervenire per paura degli anarchici. E sarebbe pure tragicomico, perché la polizia irrompe, tortura, arresta gli anarchici con particolare abilità e brutalità quando ci sonno scontri in zona. Perché non deve succedere lo stesso con spacciatori, delinquenti e scagnozzi? Ovviamente la domanda è retorica. E lo è, perché come combattenti sociali non potevamo denunciare l’inattività della polizia, in quanto avrebbe comportato il suo intervento. Contrariamente, quello che stiamo dimostrando parlando dell’assenza di protezione della polizia è l’evidente emergere di interessi, è l’esistenza di un fronte parastatale che può essere affrontato dal popolo lottando e solo da questo. Non illudiamoci dunque, aspettandoci l’aiuto di enti ed istituzioni ufficiali. Sono tutti collusi e contro di noi.
Pertanto, la questione di Exarhia riguarda nel profondo lo scontro con il meccanismo dell’accumulazione collaterale di capitale. Vale a dire, stiamo parlando di “parastato”, dell’altra faccia del profitto capitalista. La cosiddetta para-economia è una rete d’inimmaginabile dimensione che porta miliardi. Inoltre, il riconoscimento che i capitali “in nero” garantiscono il sistema bancario a livello internazionale è particolarmente caratteristico, confermando così non solo l’entità dei profitti, ma anche l’aggregazione di economia capitalista “illegale” e “legittima”. Perciò, data quest’aggregazione, è naturale che le mafie siano l’espressione organizzata dell’economia “in nero”, quindi anche l’organizzazione laterale del meccanismo dello Stato. Giudici, giornalisti, politici, uomini d’affari e polizia formano il comitato esecutivo della para-economia, usando come “fantocci” i vari utili idioti per fare il lavoro sporco.
Così gli spacciatori di Exarhia, comprendenti elementi lumpen-parassiti, “buttafuori”, piccoli criminali e aspiranti malavitosi, sono semplicemente gli utili idioti per il commissariato di Exarhia e GADA (quartier generale della polizia di Atene), i centri ufficiali di controllo dello spaccio. Queste merde che fingono d’essere degli Escobar e impavidi, sono dei comuni spioni e collaboratori della polizia, bulli e subdoli, senza i loro protettori non oserebbero neppure un sol giorno mettere le proprie mani, neanche osservare quelli che lottano per il quartiere di Exarhia.
Capendo il problema alle origini, siamo giunti alla conclusione che quella contro le mafie è una guerra nel cuore dell’accumulazione capitalista, è una guerra anticapitalista. Per questo e così noi non ci perderemo in schemi teorici fantasiosi che ci portano a non scontrarci con le mafie, perché il capitalismo esisterà anche senza di loro, ma affermiamo che finalmente si deve iniziare da qualche parte. Perché il capitalismo non è un rapporto astratto, ma al contrario tangibile, materiale e molto specifico. Questa è la guerra per mantenere un quartiere libero dalla melma della spazzatura capitalista che la mafia lava via, non è una guerra d’idee, è una guerra per lo spostamento della correlazione materiale di potere.
Evidentemente il quartiere di Exarhia è afflitto da una serie di problemi. All’origine di tutto ciò sta la trasformazione di Exarhia in un’area per il consumismo di massa che attrae la mafia e infine porta il degrado politico e culturale in zona. La concentrazione di decine di punti di ristoro, che sfruttano il costo storico e politico dell’area traendo profitto dalla vendita di uno stile di vita alternativo e un pseudo-insurrezionalismo, ha come effetto il ritrovarsi di migliaia di giovani all’insegna di consumismo e spoliticizzazione. Ed è esattamente qui che la mafia trova terreno fertile per svilupparsi. Perché la zona produce profitti inimmaginabili con la “protezione” di decine di negozi e ancor più con il traffico degli stupefacenti.
È una triste realtà che, centinaia di giovani circolanti in un quartiere segnato da costante agitazione politica, sembrino avere una falsa interpretazione della libertà, che cessa con l’essere confusi dall’uso di droga. Le ideologie urbane a supporto di ogni tipo di forme di “stile di vita alternativo”, tese al disorientamento e all’afasia ideologica, promuovono l’uso di droga come supposta esperienza liberatoria, trasformando migliaia di ragazzini in tossicodipendenti o meno e in “clienti” a supporto di organizzazioni criminali della mafia. Invitiamo tutti questi ragazzini, che potrebbero e dovrebbero essere al nostro fianco, a pensare che la droga è un mezzo per sedare, non per liberare, li esortiamo a non contribuire economicamente alla mafia, a prendere posizione in questa battaglia, smettendo di comprare la droga o andandosene da Exarhia. Altrimenti, con l’intensificarsi della lotta, i consumatori e la grande domanda che offrono agli spacciatori, dovranno essere trattati anche con la violenza.
Parlando del problema della droga e della cultura della droga in generale come fenomeno che investe principalmente la gioventù, noi affermiamo assolutamente che l’avvelenamento del nostro cervello e del nostro corpo con sostanze è un’esperienza fugace, un fuorviare le nostre sensazioni d’oppressione e una falsa fuga dai problemi reali e comuni che ci affliggono. In particolare nelle società occidentali dove il capitale ha fatto irruzione in ogni aspetto del nostro mondo emotivo, il concetto di personalità è stato decostruito, collocandolo in un ambiente sociale alienato asfissiante. Quello della solitudine, dell’insicurezza, dell’amputazione e depressione emotiva. In un’irragionevole richiesta e una vita insostenibile. La legittima richiesta di una via d’uscita se posta in una condizione di mancanza di coscienza di classe, in realtà porterà a percorsi imprevedibili. La droga è uno di questi. E forse l’espressione più dura dell’autopunizione ed introversione, poiché la desiderata “via d’uscita” si ritorce su noi stessi e peggiora i nostri problemi. In altre parole, non si risponde con violenza liberatoria alla violenza impostaci dalla società di classe, ma con la violenza rivolta contro di noi. Questo è il modo, come rivoluzionari, di lottare contro la droga, che è a supporto dell’attuazione della paralisi sociale, ma anche un attacco alla parte più viva della società, la gioventù.
In precedenza abbiamo detto che non esiste più spazio per tutti noi in questo quartiere. E con ciò intendiamo non solo la mafia, ma anche la delinquenza ovunque si esprima. Sia, nascosta sotto la cappa politica, sia apolitica che comune. La lotta per Exarhia, anche se dobbiamo entrare in un conflitto armato, non riguarda gli strumenti di lotta, ma il contenuto che essi rappresentano. Quella di Exarhia è una battaglia di civiltà per il semplice motivo che non si tratta di scontro per bande, ma di due mondi. Da un lato, il mondo del “parastato” e del marciume e, dall’altro, il nostro mondo di: speranza, solidarietà e lotta. Tuttavia, la formazione del nostro campo non si attua solo con gli appelli a lottare, ma con l’istruzione e la conformità agli standard culturali del nuovo mondo che rappresentiamo. Ecco perché quella di Exarhia è una battaglia contro il capitale e la sua mafia, contro l’indebolimento del movimento. Contro la cultura della droga, l’indisciplina, l’antisocialismo e la violenza insensata. Altrimenti, siamo destinati a perdere questa battaglia o peggio ancora diventare parte del problema. È un dato di fatto che quando una cosa non viene fermata, a un certo punto si espanderà talmente da finire per schiacciarti. Si diffonderà come un cancro. Così è successo con il caso di Exarhia, dove il carattere di quartiere altrimenti romantico, che ha sempre dato la possibilità di accogliere emarginati, intransigenti e diseredati, oggi si dimostra sbagliato. Non perché questa gente non deve essere accolta, ma perché deve essere integrata con regole fondamentali di solidarietà sociale. Devono accettare l’offerta ma anche ricambiare, dimostrando in pratica che la solidarietà non è la porta sul retro del caos e della crudeltà, ma il sunto della maturità sociale, con la sua capacità di auto-istituzionalizzarsi e agire in armonia. Solidarietà sociale intesa, pertanto, come questione di responsabilità e non semplicemente di tolleranza.
Più in particolare, quando si devono affrontare elementi criminali antisociali e la relativa gestione non è regolata da una mano invisibile, ma dalla nostra capacità di mantenere almeno un equilibrio di forze. Dobbiamo tenerli d’occhio, imporci e ricordare loro che sono in un ambiente ostile. Altrimenti i mafiosi e i delinquenti si sentiranno sicuri e forti, imporranno la loro egemonia e ci elimineranno. Pertanto, rispondendo a incomprensibili teorie come “a Exarhia le cose sono sempre andate così”, noi diciamo che i sostenitori di ciò appartengono alle forze conservatrici, cioè quelli che con il proprio comportamento perpetuano la situazione decadente del quartiere. Perciò, d’ora in poi saranno considerati parte del problema.
Exarhia è una delle zone più politicamente esplosive d’Europa. In essa sono state condotte battaglie, compagni sono stati uccisi dalla polizia, sono iniziate insurrezioni, sono nati idee e movimenti.
L’immagine di questo quartiere, ora arreso alla decadenza della droga, allo pseudo intrattenimento e ai delinquenti, è una triste immagine. Tuttavia, dobbiamo ammettere che rispecchia i problemi strutturali, organizzativi e ideologici del nostro movimento. In nome di una latente “anti-autorità” che identifica i termini della formazione del fronte proletario a un livello di etica e rapporti, con i termini con cui noi lottiamo contro il mondo civile, ci si dimentica che non si risponde alla brutalità con carezze. Quindi, quando le nostre idee sui rapporti sociali si trasformano in un’ideologia e non in un costante conflitto per difenderle, si creano divari e il potere del nemico trova spazio per ignorare la nostra “anti-autorità”. Tutti sono giudicati dalle correlazioni materiali reali e non dalle nostre visioni astratte. L’ “anti-autorità”, pertanto, per sopravvivere nell’ambiente urbano, si evolve convincendo che è una proposta realistica d’organizzazione sociale, deve esercitare autorità sui suoi nemici. Altrimenti è destinata a fallire. D’altro canto, il significato più esteso di tolleranza che permette agli elementi antisociali di agire indisturbati nel quartiere di Exarhia, pone alcuni interrogativi fondamentali. Perché siamo (dovremmo essere) tolleranti con chiunque utilizzando come alibi la sua identità nazionale o presunta identità politica (quella di immigrato o “anarchico”), eserciti violenza antisociale, e non siamo tolleranti con la società locale che giustamente protesta contro di loro? Perché i primi sono considerati forze amiche e i secondi piccoli borghesi e fascisti? A chi ci rivolgiamo e chi sono i nostri alleati? Qui si entra nel profondo del carattere storico del movimento, delle sue distorsioni rispetto alla lotta di classe e del suo ruolo all’interno di essa.
Perciò la tolleranza non è un buono per un contributo gratuito, a libera sottoscrizione. Ha un prezzo pesante, quello della responsabilità. E di fronte al pericolo di diventare emarginati nel nostro quartiere, aggrediti eticamente e politicamente e incapaci di difendere il nostro spazio vitale e in procinto di perdere la credibilità di una proposta politica responsabile verso la società, sosteniamo che questa responsabilità è nostra, ad ogni costo. Quindi, come possiamo concretamente difendere l’autoorganizzazione del quartiere di Exarhia, a prescindere da quando siamo minacciati? Sicuramente non semplicemente affermandolo come astratta formazione, o struttura che non comunica ovunque con il mondo esterno. Autorganizzazione significa forma (e non contenuto), in base alla quale costituiamo le nostre forze. Vuol dire avere la capacità con i nostri mezzi politici empirici di formare il campo proletario organizzato contro la classe borghese. Sindacati, assemblee, commissioni, occupazioni, gruppi armati, ecc. sono l’espressione fisica dell’autorganizzazione, sono l’arma contro lo Stato borghese e le sue istituzioni. E proprio perché l’autorganizzazione non significa isole e comunità di libertà, ma punti di complotto, vigilanza e offensiva dobbiamo proteggerla dal riformismo così come dal nemico di classe.
Le milizie come forma di autorganizzazione, ovunque e ogni volta che sembrino una necessità, hanno difeso collettivamente la legalità, ma anche il diritto del popolo e del movimento a contrattaccare la violenza dei capitalisti e dei loro servi. Contro polizia, militari, fascisti e ogni genere di paramilitari. Le milizie sono state di natura popolare e del movimento, perché erano al servizio delle proprie esigenze ed esprimevano la risposta collettiva alla questione di come le nostre lotte sarebbero state difese dalla violenza dei padroni e di come ci difenderemo contro il nostro minacciato spargimento di sangue. Infine, perché le milizie hanno espresso la loro accettazione di fatto della violenza come prerequisito necessario allo sviluppo della lotta di classe e gli inevitabili ostacoli da essa incontrati quando si attua in veri termini rivoluzionari.
Oggi a Exarhia, benché siamo in uno spazio-tempo completamente diverso da quello che diede vita alle milizie nel secolo scorso, abbiamo gli stessi problemi dei nostri antenati. Questioni di organizzazione e difesa della lotta contro la violenza della classe nemica. Anche se è inappropriato procedere a riduzioni automatiche, siamo costretti a rileggere la storia, a studiare le ragioni che hanno indotto la creazione di guardie armate e ad apprendere da loro. Quindi, qui stiamo parlando anzitutto di contenuto e in secondo luogo di forma. Questo perché il contenuto è comune e concerne diacronicamente il bisogno esistenziale del movimento a difendersi. La forma che questa difesa assumerà oggi, data la violenza richiesta da un lato e le correlazioni attuali presenti, deve essere analizzata nell’ambito del movimento. Pertanto, per quanto attiene quest’esigenza di trovare risposte ai problemi della protezione del popolo e del movimento, incorporiamo anche l’esecuzione giustificata di Habibi. Motivandolo con il bisogno imperativo di smettere di osservare impassibili il crollo di Exarhia, per non chinare la testa di fronte alla violenza esercitata dai delinquenti che agiscono in zona, ma anche per aprire idoneamente la discussione sui mezzi di lotta richiesti dalla situazione, abbiamo compiuto quest’azione specifica. La nostra scelta è dialetticamente legata a mobilitazioni avvenute in questi ultimi mesi a Exarhia contro le mafie e la generale “delinquenza” sociale. Giudicando positivamente queste mobilitazioni, abbiamo voluto contribuire a nostro modo. Perché, anzitutto, l’unità è importante attraverso un obiettivo comune e imperativo e ideologiche identificazioni. Perché la mafia ci ha dichiarato guerra e non abbiamo più tempo da perdere. Altrimenti, tutti alzeranno la bandiera della loro purezza ideologica, mentre contemporaneamente diverremo una minoranza indifesa. Quindi tutti devono fare la propria scelta. O con il movimento e la sua storia o soli con le proprie delusione ideologiche.
NOI O LORO. NON ESISTE SOLUZIONE INTERMEDIA
GRUPPI DI MILIZIA ARMATA