Alcune domande e risposte con N. Maziotis in occasione di un’iniziativa allo spazio autogestito Karditsa nel giugno 2016 (stralci)
Come può l’area anarchica/antiautoritaria trasformarsi in un reale movimento rivoluzionario? Secondo te, quali caratteristiche politiche dovrebbe assumere e a quale tipo di organizzazione puntare?
E’ una questione di posizioni politiche. Anarchia o comunismo libertario e antiautoritario sono una proposta sociale e organizzazione. La condizione per creare un vero movimento anarchico rivoluzionario è l’esistenza di posizioni e proposte politiche per chiarire alla gente, alle masse e ai lavoratori ciò in cui crediamo e quali obiettivi ci poniamo come anarchici. Cioè, dobbiamo assumere posizioni sui problemi scottanti e sulle questioni del nostro tempo, conseguenza della crisi capitalistica, come il debito, i memorandum, il dilemma se rimanere o uscire dalla UE e per spiegare il nostro obiettivo come anarchici, che non è nient’altro che la sovversione e distruzione del capitale e dello Stato e la creazione di una società senza Stato e senza classi.
Sono questi i problemi per cui le masse popolari, la gente colpita dalla crisi e dalla politica per il salvataggio del sistema ha cercato risposte e continua a farlo. Anche l’area anarchica/antiautoritaria non ha avuto da proporre altro di diverso da quanto prospettato dai partiti tradizionali (forse degli slogan in più). Oltre alla formulazione di posizioni e proposte politiche dovrebbe essere chiarito da chi, in che modo e con quali mezzi la nostra lotta promuoverà e realizzerà queste posizioni e proposte politiche – in altre parole come faremo dell’anarchia una realtà.
Quindi, se vogliamo fare la rivoluzione e sovvertire capitale e Stato e creare un movimento rivoluzionario mirante a questa società senza Stato e senza classi, dobbiamo necessariamente adottare la lotta armata nella nostra pratica come mezzo di lotta. Perché, come ho detto nella mia esposizione, è ovvio e un dato certo che nessuna prospettiva rivoluzionaria è possibile senza la lotta armata.
Naturalmente, un movimento rivoluzionario deve comprendere differenti metodi di lotta quante sono le frecce nella sua faretra: propaganda, controinformazione, manifestazioni, strutture autorganizzate e devono compiersi sia azioni aperte e pubbliche che illegali. Ma tutte queste azioni devono essere parte di un più ampio progetto che serva allo stesso scopo, il rovesciamento del regime. Perciò è indispensabile il maggior accordo possibile fra compagni su posizioni e proposte politiche unificate, dentro un genere di programma politico. Altrimenti, semplicemente riproduciamo le caratteristiche del movimento attuale, un arcipelago di gruppi e singoli, che non è una forza unificata né unita, dove tutti hanno diverse priorità e quindi rimane puramente un’area politica reattiva, solo per protestare o nel caso migliore insorgere, ma non può divenire una minaccia per il regime né avere una prospettiva rivoluzionaria.
Circa l’organizzazione politica di cui deve dotarsi un movimento rivoluzionario, ciò dipende dalle posizioni e proposte politiche che abbiamo. Dato che oggi sembra che nulla possa essere dato per scontato, se siamo anarchici si suppone che miriamo all’abolizione immediata dello Stato come meccanismo per amministrare affari sociali e alla distruzione del capitale. Se le nostre posizioni e i nostri obiettivi sono la distruzione del capitalismo, dell’economia di mercato e dello Stato, verso la creazione di una società senza Stato e senza classi – cioè un’organizzazione confederale dove il corpo sociale è rappresentato dalle comunità, dai comuni e dai collettivi, le decisioni sono prese in assemblee di gente che forma queste organizzazioni – allora l’organizzazione del movimento anarchico rivoluzionario è ovviamente federale.
Essendo il nostro assetto organizzativo la nostra proposta sociale “in piccolo”, è anarchia “in piccolo”. In tal caso, gli anarchici già agiscono dentro le loro organizzazioni come un microcosmo di ciò che professano e sostengono. Dentro il vecchio è nato il nuovo, ma non riproducendo le vecchie strutture gerarchiche e i valori del mondo e della società che vogliamo cambiare. Ciò è molto importante, poiché precedenti rivoluzioni in realtà hanno fallito i propri obiettivi avendo riprodotto questi valori e strutture gerarchici in modo leggermente differente.
Vero comunismo significa una società senza Stato. La differenza fra marxisti e anarchici sta nel processo che conduce al comunismo. I marxisti credono che dovrebbe esistere, nella transizione fra capitalismo e comunismo, il cosiddetto “Stato operaio” o “dittatura del proletariato” e che poi, quando le condizioni saranno mature e il nemico di classe sconfitto, lo Stato semplicemente si dissolverà. Mentre, invece, gli anarchici credono che lo Stato deve essere dissolto e distrutto immediatamente senza alcuna transizione. L’esperienza storica ha dimostrato che nessun Stato si dissolve, vari pretesti sono addotti per la sua salvaguardia e nessuna casta privilegiata rinuncia ai suoi privilegi e smette il suo potere nella gestione delle vicende umane. Come mostratoci dall’esempio della Rivoluzione russa del 1917-1921, invece della autodissoluzione dello Stato data per scontata, si è creato lo Stato più autoritario e totalitario, risultato di cattivo esempio per il movimento operaio e le lotte antimperialiste e le rivoluzioni nel Terzo Mondo, e ciò ha riprodotto regimi che hanno imposto la completa nazionalizzazione dell’economia, unitamente alla dittatura di una burocrazia riproducente le divisioni di classe.
Rispetto agli anarchici nel caso della Spagna, questi hanno dimostrato ciò che Saint-Just ha detto durante la Rivoluzione francese, cioè che “quelli che fanno rivoluzioni a metà, si scavano solo la propria fossa”. Gli anarchici spagnoli – ed essi hanno ottenuto maggiori conquiste in termini di autogestione nella maggior parte del territorio spagnolo dove, grazie ai propri sforzi, il golpe di Franco è stato soffocato – non hanno rovesciato i due governi, sia quello locale in Catalogna che centrale del Fronte Popolare a Madrid, il tutto in nome della lotta antifascista, con il risultato delle costanti concessioni e repressioni dell’autogestione da parte del governo a guida comunista.
Le future rivoluzioni non devono ripetere i passati errori, devono dissolvere lo Stato direttamente come meccanismo di governo di classe. Oggi come anarchici dobbiamo promuovere questo e dobbiamo mostrare le nostre posizioni politiche come movimento.
In febbraio la compagna Roupa ha tentato di contribuire alla vostra fuga dalla prigione di Korydallos dirottando un elicottero. Potresti esprimere un commento su ciò?
È stata un’azione in continuità con l’attività che Lotta Rivoluzionaria porta avanti dal 2009, all’inizio della crisi, avente come obiettivo i meccanismi e le strutture di potere economico con un ruolo importante in questa crisi, nonché i suoi rappresentanti politici (Borsa di Atene, Eurobank, Citibank) e ha proseguito con l’ultimo attacco dell’organizzazione compiuto nel 2014 contro la Direzione della Banca di Grecia e l’Ufficio del rappresentante permanente del FMI, per cui recentemente mi è stato inflitto l’ergastolo.
Il tentativo d’evasione è stato una risposta alla repressione contro Lotta Rivoluzionaria e altri combattenti armati, includendo in tale contesto l’evasione di membri CCF. Malgrado il fallimento, questo tentativo è di grande valore e importanza politica
Come Lotta Rivoluzionaria abbiamo fatto scelte che ci hanno portato faccia a faccia con la repressione dello Stato, il carcere, e abbiamo rischiato la vita in questa lotta. Per noi la prigione è terreno di lotta, non la fine della lotta, e abbiamo dimostrato che gli arresti del 2010 non hanno segnato la fine. Difendere con orgoglio ciò che siamo, continuare la lotta armata sono un dovere e un diritto, è il nostro dovere verso Lambros Fountas, il nostro compagno ucciso in azione, per noi è una questione ovvia e contrasta la repressione.
Azioni come quella tentata dalla compagna Pola Roupa sono esemplari, perché danno un forte messaggio politico: noi siamo e rimaniamo coerenti; nonostante successive operazioni repressive compiute dallo Stato contro di noi, malgrado gli arresti, le dure sentenze e l’assassinio di Lambros Fountas, noi siamo irriducibili e non smetteremo di lottare, non getteremo mai la spugna, non cesseremo mai di lottare.
Anche il fatto che l’evasione avrebbe coinvolto membri CCF prova inoltre che non importano tanto le differenti posizioni sulle questioni inerenti la lotta, ciò che conta è l’obiettivo comune, la lotta contro l’autorità, la lotta per il rovesciamento del capitale e dello Stato.
Ultimamente è possibile notare una grande carenza di solidarietà verso tutti in prigionieri politici. Ciò è stato particolarmente evidente durante il massiccio sciopero della fame condotto dai prigionieri politici nel 2015. Quale pensi sia la causa di ciò?
Secondo me, questo è il risultato del fallimento politico generale o, se preferisci, della sconfitta politica dell’area anarchica/antiautoritaria negli ultimi sei anni, dove soprattutto non è stata all’altezza dell’occasione storica: non è riuscita a intervenire come catalizzatore nel periodo in cui il Paese è stato incluso nei programmi delle organizzazioni internazionali della Troika e, in secondo luogo, per il fatto che il terrorismo dello Stato ha cominciato a mordere con le ondate di ripetuti arresti per l’azione armata nel periodo 2009-2011. Conseguenza che ha portato in prigione decine di compagni condannati a molti anni di detenzione, con la prospettiva che vi resteranno per lunghi anni.
Riguardo alla questione della solidarietà sono sorte divisioni, dettate da criteri di “solidarietà” basati su rapporti personali o familiari, o fondati sul metodo secondo cui “Con chi non sono d’accordo, non sono solidale”. L’utilizzo di criteri quali “colpevole” o “innocente”, il basare la propria solidarietà a seconda dell’assunzione o meno di responsabilità di partecipazione a qualche organizzazione armata da parte dei prigionieri, o il chiamare in causa le montature giudiziarie, hanno pesato.
Negi anni recenti siamo stati testimoni di molte simili divisioni, con il ricorso a vari criteri. Tutte queste hanno fondamentalmente un retroterra politico dietro di sé, come ad esempio l’esclusione dell’azione armata intesa come parte della lotta contro Stato e capitale.
Così, un settore dell’area anarchica ha mostrato di trovare più facile mobilitarsi sui temi dei “diritti umani”, essendo considerati più divulgabili, sulla questione delle “montature” giudiziarie, dei “perseguimenti ingiusti”, dei “casi costruiti”, tutto ciò piuttosto che naturalmente i casi di lotta armata, per cui la gran parte dei prigionieri politici è detenuta e molti di loro hanno assunto la responsabilità politica della loro partecipazione a gruppi armati.
Ma ora domina una generale indifferenza e carenza di solidarietà verso tutti i prigionieri politici, non solo per una parte, e indipendentemente da divisioni o ogni controversia, ciò dovuto alla sconfitta politica dell’area anarchica/antiautoritaria negli anni recenti. Questa sconfitta è il risultato di gravi limiti politici e incapacità, è dovuta al fatto che non si hanno posizioni e proposte coerenti per i problemi della nostra epoca, la crisi e la politica per contrastarla. Così, non si è riusciti a intervenire nel periodo delle grandi mobilitazioni contro il 1° memorandum nel 2010-2012 e non si è stati in grado di sviluppare in un serio polo politico un movimento rivoluzionario che minacciasse il regime.
Questa sconfitta politica generale riguarda l’intera attività del movimento e ha condotto alla presente rassegnazione e frammentazione – visibile particolarmente nelle ultime manifestazioni contro il 3° memorandum – e ovviamente questo tocca anche la questione della solidarietà verso i prigionieri politici. Naturalmente, il movimento è pure influenzato dalla sconfitta sociale generale, dopo che le mobilitazioni contro i memorandum e i programmi di salvataggio attuati negli ultimi sei anni sono tutti falliti. Dal 2012 si è avuto un declino della resistenza sociale e un ridursi delle mobilitazioni contro i governi di Samaras e SYRIZA.
Il fallimento politico generale e la sconfitta dell’area anarchica/antiautoritaria rispetto alla trasformazione in un movimento rivoluzionario, in possesso della potenzialità per la sovversione e la rivoluzione, sono la causa della carenza di solidarietà verso tutti i prigionieri politici, e non solo per quelli che si potrebbe dire hanno responsabilità di vari scontri fra prigionieri, provocati in qualche misura da idee di “innocenza” e “colpa“ e dalla questione dell’assunzione di responsabilità politica.
Per riassumere, il problema dell’area anarchica è politico-esistenziale. Ha dimenticato di fare la guerra all’autorità e perciò ha dimenticato i propri prigionieri di guerra.
pubblicato il 29 giugno 2016