http://325.nostate.net/?p=19688
“Dobbiamo sabotare la realizzazione del Terzo Memorandum”
Domanda: Secondo te, quali sono le ragioni della diminuzione del livello di resistenza sociale e di lotte contro la ristrutturazione capitalista e le misure d’austerità e come possiamo fare per uscire da questa situazione di stallo? Attualmente quale dovrebbe essere la strategia dell’area anarchica?
Risposta: La causa della minore presenza di resistenza sociale sta precisamente nel fatto di avere avuto, e di avere tuttora, carattere difensivo dinanzi a un’offensiva senza precedenti del capitale e dello Stato, dopo il 2010. Dal 2008 la macchina capitalista operava male, non trovando investimenti remunerativi per attingere profitti sempre maggiori, né capitale per compensare le sue perdite, per questo attacca le conquiste sociali e la classe operaia. Così, porta l’attacco a previdenza sociale, salari e pensioni, confisca la proprietà per debiti, riduce il costo del lavoro e s’impadronisce del bene pubblico, privatizzando.
Per ovviare alle sue perdite, il capitale preme per piani di salvataggio, vale a dire i memorandum, eliminando fasce di popolazione che non vuole né può sfruttare, provocandone l’annientamento.
Di fronte a un attacco senza precedenti che ha prodotto migliaia di morti e l’immiserimento e impoverimento della maggioranza della società, la soluzione non è lottare per riportare il sistema e l’ordine sociale alle condizioni pre-2008 – quando il sistema funzionava, il complesso delle banche era “prospero” e forniva prestiti, con uno stato sociale (in Grecia mai ben sviluppato) e un consenso sociale alle riforme neoliberiste dell’epoca.
È impossibile tornare a quella situazione data la dinamica del sistema stesso. Allo stesso modo è proprio impossibile ritornare al modello socialdemocratico di sviluppo basato sul forte intervento dello Stato nell’economia, come sostenuto da Syriza prima delle elezioni di gennaio 2015. Questo modello è venuto meno negli scorsi quattro decenni. Anzi, la soluzione è sovvertire e distruggere il capitalismo, essendo la sua esistenza stessa la ragione delle crisi, le tragiche conseguenze che oggi viviamo. La soluzione è ciò che noi, “Lotta Rivoluzionaria”, per anni abbiamo sostenuto “l’unica risposta alla crisi è la rivoluzione sociale”. La crisi non è dovuta al neoliberismo, come ha detto Syriza in anni precedenti, ma al capitalismo, alla sua stessa esistenza.
La gente è scesa in piazza durante le mobilitazioni negli anni 2010- 2012 e oggi, in occasione del nuovo memorandum, ma si aspettava e si aspetta ancora che siano ripristinate le condizioni pre-crisi, che siano mantenute le conquiste ottenute nei decenni scorsi sulla base di compromessi conclusi dal vecchio movimento sindacale e dei lavoratori con il capitale. Le proteste di allora e di adesso, di carattere difensivo, si sono rivelate inadeguate a bloccare al livello minimo le misure adottate da quei governi.
Ma quando la gente scende in piazza a protestare, si presenta una grande occasione alle forze politiche per intervenire cataliticamente, ponendo nel dibattito la prospettiva rivoluzionaria, il sovvertimento del capitale e dello Stato. E questo è esattamente mancato nel periodo 2010-2012 e continua ad esserlo ora. Le masse scese in piazza hanno ascoltato solo ciò che dicevano loro i sindacati e i partiti di regime.
L’area anarchica-antiautoritaria non si è costituita in forza politica che ponesse la questione della prospettiva rivoluzionaria. Non ha proposto qualcosa tangibilmente differente dalle politiche attuate. Quindi, come conseguenza ovvia, queste proteste di massa, pur grandi e malgrado fossero numerosi gli scontri davanti al parlamento, avrebbero perso la loro energia e non sarebbero riuscite a rovesciare le politiche d’austerità del governo.
Precedentemente, in occasione di altri eventi, ho detto che l’area radicale si è trovata impreparata di fronte alla situazione successiva al 2010, rivelando ampiamente i propri limiti politici, la sua mancanza d’analisi sulla nostra epoca e il sistema politico e la sua assenza di prospettive, posizioni e proposte. Lanciare slogan come autorganizzazione, autogestione, liberazione sociale, rivoluzione, senza essere più specifici è insensato. Perciò l’area anarchica rimane senza vero sostegno popolare e sociale e non può intervenire sul piano della politica centrale.
La risposta a questo stallo sta nel definire le nostre posizioni e proposte politiche, ciò che presentiamo alla società rispetto ai problemi attuali. Avere un programma politico, assumere posizioni specifiche su debito, memorandum, UE ed eurozona, fare nostre proposte per sostituire il capitalismo e lo Stato. Come possiamo dare forma a una società senza classi e senza Stato cui sia possibile ambire, il Comunismo Libertario e l’Anarchia?
Basandoci su nostro obiettivi politici e posizioni ci occorre quindi adeguare le nostre azioni per conseguire questi obiettivi e posizioni. Certamente, le nostre azioni sarebbero diverse ma, parlare di rivoluzione senza preparare il conflitto armato con il regime e non proseguire lo scontro armato contro il regime, significa inesistenza di lotta reale per la rivoluzione e questo termine diviene insignificante. La rivoluzione sociale è impensabile senza fare ricorso alle armi per abbattere il potere del capitale e dello Stato.
Credo che un movimento rivoluzionario debba chiaramente formulare le posizioni e le proposte riguardanti una sorta di programma politico, per permettere massimo consenso politico e impegno su queste posizioni e sul tipo di azioni e strumenti di lotta atti a realizzare queste posizioni e il nostro programma. Deve compiersi il consolidamento di forze più ampio possibile, piuttosto che un coordinamento slegato di collettivi o singoli, tutti con priorità differenti.
In questo momento dobbiamo sabotare l’attuazione del Terzo Memorandum e le misure prese dal governo unitamente agli impegni da questo assunti verso i creditori. La gamma di tali azioni è ampia: dalla guerriglia urbana, alle mobilitazioni di piazza sia violente che pacifiche, alle azioni di controinformazione e propaganda, o alle misure d’assistenza ai socialmente deboli e ai fragili colpiti dalla crisi, ai progetti di autorganizzazione, tutto quanto può corrispondere a tasselli di un progetto politico per la sovversione, non separati l’un l’altro. E non può verificarsi un capovolgimento se non siamo pronti per la lotta armata, per lo scontro armato con il governo centrale teso a conquistare le roccaforti del nemico, quei luoghi dove le autorità prendono le loro decisioni. Se vogliamo fare la rivoluzione dobbiamo essere preparati letteralmente a una guerra, non figurativamente, pronti al rischio della nostra vita. Questo è come io penso siano da condurre le lotte.
Inoltre, credo che un movimento rivoluzionario debba avere un carattere politico-militare. Deve eseguire un’azione aperta, pubblica e pure azioni puramente illegali. Se ci fosse, ad esempio, una “Federazione di Assemblee Anarchiche” basata su distinzioni territoriali con collettivi, gruppi d’affinità e singoli partecipanti, sulla base di un chiaro accordo politico riguardo a principi, obiettivi e strumenti di lotta. Ciò collegherebbe e contribuirebbe a un programma rivoluzionario politico e parallelamente a ciò potrebbe esserci una struttura armata illegale, un gruppo armato di massa che colpirebbe strutture del potere economico e politico, promuovendo così l’implementazione delle posizioni e del programma della “Federazione di Assemblee Anarchiche”.
Ciò non implica l’esistenza di parti mutualmente indipendenti, un braccio “legale” del movimento e uno “illegale”, ma l’esistenza distinta di azione aperta e pubblica e di atti prettamente illegali e segreti, in un movimento che compie azioni diverse e non ha criteri di separazione fra legalità e illegalità, preparando così la sovversione e lo scontro armato con il capitale e lo Stato.
Non può esserci movimento rivoluzionario privo di posizioni orientate sulla lotta armata. Non può esistere un vero movimento rivoluzionario se non è pronto al conflitto armato con il regime. Non ci può essere rivoluzione se il movimento non dispone di forze e infrastrutture armate per rovesciare le forze di sicurezza e armate del regime.
D: Come connettere la solidarietà verso i prigionieri politici e gli militanti perseguiti nelle lotte contro memorandum, ristrutturazione capitalista e in generale quelli che scendono in piazza in questo momento?
R: Anzitutto, permettetemi di definire cosa intendo per solidarietà. Significa che noi consideriamo compagni, tutti gli imprigionati che hanno lottato a qualsiasi livello, in quanto parte integrante di una lotta comune per la rivoluzione, per rovesciare il capitale e lo Stato, che come unico prerequisito tengano un comportamento degno contro le autorità giudiziarie, ovvero, non collaborino con loro e non si pentano delle proprie azioni. Solidarietà vuol dire che pensiamo e crediamo che, reprimendo, perseguendo e detenendo compagni per la loro azione e scelte, lo Stato colpisce noi tutti. Solidarietà significa prosecuzione della lotta per coloro che sono prigionieri a causa della loro azione rivoluzionaria, la continuazione della lotta di chi ha dato la propria vita nella lotta per la rivoluzione e il sovvertimento di Capitale e Stato.
Su questa base, la solidarietà si manifesta in vario modo. Ad esempio, con azioni che consentono ai prigionieri politici dichiarazioni, o controinformazione, interventi, occupazioni e proteste volte a diffondere e rendere popolari le parole dei prigionieri politici e le ragioni per cui sono in carcere e, soprattutto, collegare tutto questo con il progetto rivoluzionario generale, cioè la sovversione del capitale e dello Stato nelle lotte sociali della nostra epoca. Naturalmente, può essere anche la continuazione della lotta armata, quando riguarda prigionieri detenuti per azione armata e membri di organizzazioni guerrigliere.
Per legare la solidarietà a prigionieri politici nelle lotte contro i memorandum e l’attacco sferrato dal capitale e dallo Stato dal 2010, dovrebbe esistere da un lato (nell’area politica cui appartengono i prigionieri politici) la prospettiva di sovvertimento e rivoluzione sociale e questo non a livello di auspicio e slogan, ma di azione; dall’altro lato, i prigionieri politici stessi devono portare avanti la lotta con proprie dichiarazioni o azioni che abbiano una prospettiva politica.
Per esempio, le affermazioni e le azioni di “Lotta Rivoluzionaria” espresse sia come organizzazione attiva o imprigionata, riscuotono vasta attenzione pubblica, le nostre dichiarazioni possono essere divulgate e sono assimilabili. Dato che le azioni e la logica dell’organizzazione si basano sulla lotta contro i piani di salvataggio e le politiche per orientare la crisi, si tratta di un appello a rovesciare il regime per la liberazione sociale.
Siamo un collettivo anarchico che dal 2005 ha parlato dell’enorme debito pubblico, di come l’economia greca fosse basata su una politica di dipendenza, prendendo in prestito dai mercati e dalle élite economiche transnazionali e che il Paese sarebbe precipitato in una situazione grave se fosse esplosa la crisi per indebitamento e abbiamo identificato le politiche adottate dai governi greci dal 2009 per guidare la crisi, politiche che hanno portato ai memorandum. Abbiamo previsto le esplosioni sociali che sarebbero seguite a queste politiche, tradottesi in discredito generale e delegittimazione del sistema fra larghi settori della società e ciò è emerso nel periodo 2010-2012, così come abbiamo scoperto la grande occasione, sorta con il discredito generale e la delegittimazione del sistema suddetti, per un tentativo rivoluzionario in Grecia, opportunità attualmente rimasta inespressa. Dal 2009 abbiamo parlato, proprio per gli stessi motivi, della necessità di rovesciare capitale e Stato, ma finora questo non è stato possibile farlo.
Abbiamo agito conformemente a ciò che, a nostro parere, sarebbero gli orientamenti politici e le proposte che oggi un movimento rivoluzionario deve mettere in campo, come avvenuto con la creazione di una piattaforma secondo cui abbiamo assunto la responsabilità per l’attacco alla Banca di Grecia nel 2014. Naturalmente, un movimento rivoluzionario non deve dimenticare i prigionieri nelle mani dello Stato.
Quale esempio pratico di come connettere la solidarietà ai prigionieri politici nelle lotte contro i memorandum, potrei citare la mia proposta nel marzo 2015, quando in concomitanza con lo sciopero della fame condotto dai prigionieri politici avrebbe potuto esserci una protesta nel centro di Atene che collegasse le richieste dei prigionieri politici alla lotta contro il memorandum, svoltasi al momento che il governo di Syriza, all’incontro di “Eurogruppo”, il 20 febbraio 2015 aveva sottoscritto che accettava l’estensione dell’allora memorandum, del debito e degli obblighi con gli istituti di credito – ma questa protesta si è dimostrata impossibile da realizzare.
Ovviamente, la risposta allo sciopero della fame dei prigionieri politici ha poi rivelato che la solidarietà verso prigionieri politici non è un dato di fatto. Ho dichiarato qualcosa sullo sciopero della fame di prigionieri politici lo scorso marzo – secondo me, non c’è stata una risposta appropriata da settori dell’area anarchica/antiautoritaria.
Generalmente nel tempo si è dimostrato che un ampio settore dell’area anarchica è contrario coerentemente e condanna l’azione rivoluzionaria armata, ma senza riuscire a sostenere questo atteggiamento pubblicamente con argomenti politici, mobilitandosi così, al contrario, sulla questione della solidarietà quasi esclusivamente o molto semplicemente su questioni come “violazione dei diritti umani” o nei casi dove si tratti di “macchinazioni”, “perseguimento”, “casi costruiti”, “rapporti criminalizzati”, che sono considerati più adatti per “propagandare” e tanto più “appetibili” agli occhi della società.
E non essendo possibile da parte loro sostenere questi argomenti politici pubblicamente svalutando l’azione rivoluzionaria armata, in caso di perseguimento di gruppi armati ribelli è quindi più conveniente distorcere quei casi nel merito, affermando che la gravità di questi attacchi repressivi non sta nella repressione di organizzazioni rivoluzionarie armate, ma solo nella criminalizzazione dell’area anarchica, ecc. Inoltre, nell’arsenale di questo tipo di “solidarietà” si è pure aggiunto che “la solidarietà non significa identità”.
Nel corso del tempo, il triste risultato di questa “solidarietà” distinta si vede fra i prigionieri politici, membri di organizzazioni rivoluzionarie armate, che hanno assunto la responsabilità politica per le loro organizzazioni e le azioni e si sono caricati il peso di battaglie politiche e scontri con lo Stato, davanti a tribunali speciali e più in generale.
I criteri di “solidarietà” prevalenti in una parte dell’area anarchica sono criteri personali, per cui alcuni si mobilitano se conoscono qualcuno o intrattengono rapporti personali, amichevoli o anche familiari; mentre sul piano politico il criterio per questa “solidarietà” distinta è la svalorizzazione dell’azione rivoluzionaria armata e di coloro che assumono la responsabilità politica per essa e difendono la lotta armata. È un comportamento su cui non sono d’accordo politicamente e con cui non sono solidale.
L’ipocrisia di questa “solidarietà” distinta è emersa nel fare la proposta per la creazione dell’ “Assemblea di solidarietà per i prigionieri politici”, per definire la solidarietà esclusivamente secondo criteri politici – cioè includere tutti i perseguiti e incarcerati per aver usato metodi di lotta che sono parti imprescindibili della lotta di anarchici e rivoluzionari in generale, compresi i comunisti, escludendo solo quelli che hanno tenuto una posizione indegna con dichiarazioni di condanna delle azioni o che informano le autorità. A mio parere, questo dovrebbe essere il metodo politico riguardo alla solidarietà a prescindere dagli strumenti di lotta usati da chi è detenuto, a prescindere se la gente conosca personalmente o meno i perseguiti e i combattenti incarcerati, a prescindere se qualche riconoscimento riguardo la loro partecipazione in gruppi ribelli armati o il loro perseguimento siano un effetto secondario dell’azione giudiziaria contro organizzazioni guerrigliere.
Ma certi, sia in prigione che fuori, destano preoccupazioni e frappongono ostacoli alla creazione di tale struttura di solidarietà per tutti i prigionieri politici, dato che quello che realmente volevano, ma non potevano dirlo così apertamente, era l’esclusione di una parte significativa di prigionieri politici come referenti della solidarietà, considerato che quella che sostengono – non pubblicamente è ovvio – è la parte non dei prigionieri politici. Non inganniamoci, non nascondiamoci, ma guardiamo alla realtà. La solidarietà ai prigionieri politici nell’insieme, che mantengono un comportamento degno, è oggetto di una guerra sotterranea da parte di settori dell’area radicale.
In questo periodo, nel mezzo di una generale flessione della resistenza sociale (malgrado un periodo di mobilitazione) è il momento della legge sulle pensioni del governo Syriza in ottemperanza al terzo memorandum e tenuto conto del generale insuccesso da parte dell’area anarchica/antiautoritaria rispetto a come si sarebbe dovuta sviluppare, in veste di singolo polo politico che pone il dibattito sulla prospettiva rivoluzionaria, la solidarietà verso i prigionieri politici sembra discreditata quanto mai. Ogni movimento solidale, ogni appello alla solidarietà è posto in modo frammentario nella generale indifferenza, frammentazione e disaccordo prevalenti nel movimento. Torniamo a quanto detto in precedenza, ancora vero: chiunque dimentichi i prigionieri di guerra, scorda la guerra stessa. Il problema è più radicale e non riguarda solo la solidarietà, ma la lotta in generale.
In conclusione, per rispondere alla questione su come la solidarietà ai prigionieri politici sia legata o si leghi alle lotte contro i memorandum, la ristrutturazione capitalista e la discesa della gente in piazza – questo avviene quando la nostra azione mira alla rivoluzione sociale, quando le nostre azioni ci devono portare tutti a lottare insieme a settori della società mobilitati contro i memorandum, per influenzarli nel senso anticapitalista e antistatale. Per fare ciò dobbiamo avere chiare posizioni politiche e obiettivi, un programma politico rivoluzionario, dobbiamo avere chiare proposte per settori militanti della società per promuovere influenza in senso anticapitalista e antistatale, affinché le nostre azioni possano essere intese a beneficio e nell’interesse dei colpiti dall’attacco del capitale e dello Stato, dai memorandum e dalle politiche d’austerità per uscire dalla crisi. “Lotta Rivoluzionaria” agisce in questo modo. La nostra azione deve raggiungere un pubblico sociale ampio e non essere introversa o autoreferenziale.
Avere tale azione che pone la discussione sulla prospettiva del sovvertimento e la rivoluzione è il migliore scudo a protezione per i prigionieri politici e i combattenti incarcerati.
31 gennaio 2016