Lettera per i/le compagn* grec*

Cari Nikos, Fivos, Kostas, Odysseas, Alexandros,

siamo felicissimi e molto vicini nel ricevere la vostra lettera complice e solidale.

Cogliamo l’occasione per rispondervi con questa lettera che vogliamo sia pubblica.

E’ raro il fatto di arrivare a sognare con persone con cui non si ha nessun rapporto, che nemmeno si conoscono mai neanche sentite, incontrate; è ancora più raro il fatto di passare assieme una giornata di ribellione e gioia come quella che abbiamo passato assieme, fianco a fianco, senza neanche guardarci in volto; ancora più raro è il sentimento profondo e “fraterno” che ci unisce anche a migliaia di chilometri di distanza, lingue diverse e mari che ci separano.

Con questo scritto vogliamo chiarire che assumiamo la nostra carcerazione come conseguenza politica alle nostre scelte consapevoli di schierarci come nemici del potere nella guerra umana al fianco di tutti gli sfruttati di questo mondo, animali e pianeta compresi: non possediamo la codardia di presentarci come delle vittime.

Noi arrestati siamo tutti facenti parte e/o frequentatori solidali del movimento anarchico milanese “pirata” e come tali ci definiamo nel sentimento di fratellanza, sorellanza, egualità, solidarietà che ci unisce anche a voi in questa grande “famiglia” nella “lotta contro il mondo intero”, nemici giurati delle autorità, del governo, di qualsiasi forma di dominio e sfruttamento che riguarda la nostra vita e/o quella de* nostr* fratelli/sorelle, ci unisce nel desiderio di espropriare le nostre vite, nel desiderio di “arricchirci” individualmente e collettivamente contro la rassegnazione, la sottomissione e la “povertà” cittadina.

Crediamo che la frase di Brecht, che avete scelto nell’introduzione della lettera che ci avete mandato, “quelli che rubano il cibo da tavola/dichiarano l’austerità  / quelli che prendono i doni/chiedono sacrifici / i sazi parlano agli affamati / dei grandiosi ani che verranno”, sia la migliore fotografia per descrivere la scena dell’apertura dell’esposizione universale del 1° Maggio 2015 di Milano dove l’ “élite” “economica” (finanziaria) e “politica” (politicante) di mezzo mondo si pavoneggiava e starnazzava su argomenti come alimentazione e cibo.

Mentre l’ “élite” festeggiava con caviale e champagne sui tappeti rossi, dall’altro lato della città rinchiusi, incatenati e ghettizzati tra zone rosse e barriere gli/le sfruttat* tentavano di far sentire la loro volontà non solo contro l’Expo bensì contro quella guerra quotidiana costellata di mille lotte e percorsi contro la schiavitù che ci attanaglia: lavoro, casa, istruzione, sanità, finanza, guerre, rapine di materie prime, diseguaglianze sociali, razzismo, specismo, diseguaglianze di genere, repressione, sgomberi… un elenco troppo lungo da inserite completo, una moltitudine di cause, una moltitudine di individualità e collettività che coloravano quell’esplosione di protesta, rivolta e rabbia.

Vogliamo rivendicare che noi non siamo in quella posizione fredda o tiepida di chi si pente o dimentica il calore o la gioia di quei momenti; noi non lottiamo per migliorie o/e riforme per rendere più sopportabile l’esistenza dentro questo sistema, non ci rivendichiamo come studenti, lavoratori o disoccupati, siamo “pirati”, siamo anarchici in guerra contro chi possiede, rappresenta e/o difende questo sistema autoritario, fascista e capitalista.

Noi ci “indigniamo” davvero e non crediamo sia utile ma reazionario e controrivoluzionario parlare di legalità o illegalità delle e nelle lotte, della rabbia nella guerra e nelle battaglie contro servi e padroni. I/le nostr* nonn* sono stat* chiamat* “banditi”, hanno dovuto vivere l’illegalità, hanno voluto scegliere la clandestinità, sono stat* perseguitat* dall’allora “giustizia legale”, in molt* sono stat* impiccat* o fucilat* per devastazione, saccheggio e incendio nel tentativo di donarci un briciolo di libertà, subito negata e tradita da chi tradì con il potere, quell’iniziale spinta insurrezionale, ma soprattutto negata da chi non aveva colto alcuni degli insegnamenti più alti della loro lotta: la libertà va sempre perseguita, difesa, ricercata, non può essere né mediata né concertata né concertata con un potere né lasciata o/e delegata nelle mani di qualcun altro all’infuori di noi stess*; tutt* abbiamo l’onere di conoscere e sapere per poter scegliere, essere liber* e partecipare.

Non è detto che una cosa illegale sia anche ingiusta, non è detto che una cosa legale sia per forza  giusta: ciò che è legale o illegale non lo decide la giustizia ma il potere e i suoi servi.

Siamo felici del blocco della vostra estradizione in Italia, siamo fiduciosi che questo blocco avrà ripercussione anche nel nostro processo dove saremo giudicati per un reato che ancora proviene dal “codice Rocco”, codice penale monarchico/fascista; reato che ancora prevedrebbe la fucilazione se non fosse che la parola “morte” nel codice penale attuale viene messa tra parentesi quadre, non cancellata, lasciata per ricordare la sua recente abrogazione costituzionale, ma non eliminata nel caso si volesse fare ancora qualche altro passo indietro e nostalgico, pronta per il nuovo regime che verrà, monito attuale per chiunque volesse ribellarsi davvero.

Siamo vicini, solidali e complici; stiamo facendo fronte comune alla stessa repressione. Qui la solidarietà, la vicinanza è forte, presente; fuori dalle grigie, fredde e umide mira di questo carcere in molt* lottano insieme a noi e a voi!

Se i giudici di questo assurdo processo politico, mediatico, politico, fascista e autoritario potessero davvero giudicarci, avessero davvero gli strumenti, la cultura per capire, sarebbero sicuramente con noi fra gli imputati o dietro le barricate e non sul pulpito dietro la cattedra di un tribunale, se questi giudici, al servizio del sistema che ci sfrutta e ci reprime crederanno che questi “pirati”, gentiluomini di ventura, questi esseri umani liberi, siano degli di essere ospiti dello stato nelle sue carceri, siano degni di essere condannati per combattuto al fianco di tutt* gli/le sfruttat*  di questo mondo in difesa della libertà, non ci rimane che subire con calma e forza la nostra sorte, convinti e consci di non avere nulla da rimproverarci.

Vi salutiamo e vi abbracciamo forte nella speranza vera e sincera di potervi abbracciare un giorno davvero in libertà.

Andrea (Casper), Alessio (Molestio), Niccolò (Iddu). Hold on.

 

(I compagni hanno unito alla lettera “Il Galeone” e anche “Schiavi” un testo scritto dal partigiano Belgrado Pedrini nel carcere di Fossombrone nel 1967, eccolo di seguito:

Siamo la ciurma ignota di un galeon mortale su cui brontola il tuono dell’avvenir fatale

Mai orizzonti limpidi schiude la nostra aurora e sulla tolda squallida urla la scolta ognora

I nostri dì s’involano tra fetide carene siam macri, emunti schiavi stretti in ferral catene

Nessun nocchiero ardito sfida dei venti l’ira? Pur sulla nave muda (muta) vespero ognun sospira!

Sorge sul mar la luna ruotan le stelle in cielo ma sulle nostre tombe steso è un funereo velo

Torme di schiavi adusti chini a gemer sul remo spezziam queste carene o chini a remar morremo

Remiam finchè la nave si schianti sui frangenti alte le rossonere tra il sibilar dei venti

Cos’è gementi schiavi questo remar remare? Meglio cader da prodi sul biancheggiar del mare

E sia pietosa coltrice l’onda spumosa e ria ma pera in tutto il mondo l’infame borghesia

Falci del messidoro picche vermiglie al vento sarete i nostri labari nell’epico cimento

Su, su gementi schiavi l’onda gorgoglia e sale: di già balena e fulmina sul galeon fatale

Si schiavi all’armi all’armi! Pugnam col braccio forte gridiam gridiam giustizia o libertade o morte

22 marzo 2016

Andrea Casieri, p.za Filangieri, 2  – 20123 Milano

 

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